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Read  Orson Welles, L'ombra del gigante  
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Vero è falso.

Cine Rassegna su Orson Welles

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Ogni giovedì alle 21.30:

> 12 ottobre - L'infernale Quinlan (1958)

> 19 ottobre - Rapporto confidenziale (1955)

> 26 ottobre
>ore 21.30 - Storia immortale (1968)
>ore 22.30 - La ricotta (1963) di P.P. Pasolini con Orson Welles

> 2 novembre - F per falso (1974)

>9 novembre - Don Chisciotte (1992)


Ingresso 1 euro.



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Da: Io

ORSON WELLES, L’OMBRA DEL GIGANTE

Il Don Chisciotte di Orson Welles

Filmato nel 1955-1973, distribuito nel 1992
Regia: Orson Welles
Sceneggiatura: Orson Welles, dal romanzo di Miguel de Cervantes
Fotografia: Jack Draper
Aiuto regia: Paola Mori
Produttori: Oscar Dancigers, Orson Welles
Montaggio: J. Franco, R. Almirall, F. Michalczik
Musica: Daniel J. White
Intepreti: Francisco Regueira (Don Chisciotte),
Akim Tamiroff (Sancho Panza), Orson Welles (se stesso, il narratore)

Vero e Falso. Autentico e Inautentico
Cosa c’è di veramente autentico in questo Don Quixote by Orson Welles? È legittimo attribuire a Welles la paternità di un film che ha visto la luce solo grazie a un’operazione postuma e arbitraria di un regista di serie B (Jess Franco), amico-nemico del grande cineasta? Come per una strana maledizione, accadde a Welles ciò che già era accaduto allo stesso Cervantes, che cominciò con lo scrivere una novella e si trovò ad avere scritto il Don Chisciotte. Così l’idea del film si impadronì di Welles e si dilatò progressivamente fino a diventare un progetto impossibile da portare a termine. Ma se è vero, come riteneva lo stesso Welles, che il montaggio costituisce l’aspetto principale del lavoro di un regista, “l’atto cinematografico” per eccellenza, che dire di un film quasi interamente montato da altri? Senza contare che solo una ristretta parte della grande quantità del materiale girato da Welles è presente nel film distribuito nel 1992 dalla El Silencio.
Pur con questi limiti, non si può però non riconoscere nel Don Chisciotte di Welles tutta la genialità del regista. La riflessione wellesiana sul falso e la critica del cinema inteso come semplice “finzione verosimile” trova nella figura di Don Chisciotte un luogo perfetto. Mentre vediamo il nostro eroe impegnato a combattere invano contro quei “mercanti di sogni” che spacciano il falso per il vero e il vero per il falso, l’essenza stessa del cinema di Welles si palesa ai nostri occhi. La narrazione cinematografica cessa con Welles di essere veridica per farsi falsificante: proprio come nel mondo visto con gli occhi di Don Chisciotte, i confini tra reale e immaginario, tra vero e falso, diventano talmente confusi che in ultima istanza vero e falso finiscono per coincidere. La potenza del falso rappresenta infatti la stessa forza creatrice ed espressiva dell’arte, ed è così che il massimo della falsità corrisponde con il massimo della verità. È forse questo che fa dire a Welles che in fondo Don Chisciotte è un autentico cavaliere, il migliore che sia mai esistito. Don Chisciotte e Sancho Panza: due creature immaginarie ma anche più reali della vita stessa.
Arianna Triolo

Da: scheda "f per falso"

F for Fake - 1975


“I want to give the audience a hint of a scene. No more than that.
Give them too much and they won't contribute anything themselves. Give
them just a suggestion and you get them working with you. That's what
gives the theater meaning: when it becomes a social act.”
Voglio dare al pubblico solo l'indizio per una scena. Nulla di piu'.
Dagli troppo ed il loro stesso contributo sara' nullo. Dagli solo un
indizio ed ottieni la loro partecipazione. Questo e' cio' che rende il
teatro significativo: ogni qual volta diventa un atto sociale.

E' una citazione di Welles? Lo sia o no, e per quanto fuori contesto o
meno, F for Fake è un film che ... no ... ti dico in breve il mio
punto di vista senza pretese di obiettivita'. Mi sembra che sia un
film pieno di simboli, un film che di continuo sembra andare oltre il
film, oltre la sua trama ed il suo montaggio. Non penso sia un film
"erudito" pieno di citazioni autocompiaciute e diffuse a caso.
Piuttosto, un film che richiede una partecipazione attiva, che invita,
suggerisce, ma non impone, una riflessione sull'arte in generale, sul
cinema in quanto arte, sulla relazione tra vero e falso, ammesso che
il "vero" esista, sulla relazione tra arte e "vero", ammesso che il
"vero" possa essere reale, ed anche una riflessione sull'artista:
"falsario" oppure creatore del "vero" falso?

Credo sia un film non divertente ma coinvolgente, pieno di momenti non
convenzionali nelle inquadrature e nel montaggio, e questa voluta
distanza dalle convenzioni dell'intrattenimento cinematografico puo'
condurre alla meraviglia, alla sorpresa, alla noia o degenerare quasi
nel delirio - ed in questa tensione tra grandiosita' dei mezzi e
dichiarato desiderio di fuggire da ogni imposizione totalitaria di un
tema credo sia forse evidente una possibile contraddizione di questo
film. Malgrado il rifiuto generale del "minimo" da parte di Welles, ed
il suo debole per il barocco, la sua - forse paradossalmente -
grandiosa proposta di riflessione credo possa essere rispettata ed
ascoltata mentre simultaneamente i sensi godono o soffrono - oppure
entrambe le cose - della magnitudine dei mezzi visivi e cinematici
scelti dal gigante per suggerire una riflessione sulla falsita' del
vero ovvero sulla verita' del falso.

Da: recensione

Titolo originale: Immortal Story
anno: 1968
durata: 58 minuti
tratto da una novella di Karen Blixen
Francia ORTF/Albina Films
Cast: Orson Welles (Mr. Clay)
Jeanne Moreau (Virginie Ducrot)
Norman Eshley (Paul)
Roger Coggio (Elishama Levinsky)
Regia/Sceneggiatura: Orson Welles
Fotografia: Willy Kurant
Direzione artistica: Andre Piltant
Costumi: Pierre Cardin
Produttore: Micheline Rozan

Titolo: La ricotta (in: Ro.Go.Pa.G. film a episodi)
Anno: 1963
Durata: 35 minuti
Arco Film (Roma) / Cineriz (Roma) / Lyre Film (Parigi)
Regista: P.Paolo Pasolini
Fotografia: Tonino Delli Colli
Costumi: Danilo Donati
Commento e coordinamento musicale: Carlo Rustichelli
Montaggio: Nino Baragli
Cast: Orson Welles (il Regista, doppiato da Giorgio Bassani)
Mario Cipriani (Stracci)
Laura Betti (la "diva")
Edmonda Aldini (un'altra "diva")
Vittorio La Paglia (il giornalista)
Maria Berardini (la stripteaseuse)
Rossana Di Rocco (la figlia di Stracci)
Tomas Milian, Ettore Garofolo, Lamberto Maggiorani,
Alan Midgette, Giovanni Orgitano, Franca Pasut.
Produttore Alfredo Bini

«Non mi piacciono le profezie», afferma Mr. Kley mostrando tutta la sua avversione nei confronti delle storie raccontate e non ancora accadute. L'accadere è ciò che rende una storia immortale, il suo diventare evento, il suo poter essere raccontata da chi l'ha vissuta. Il principio di realtà si incarna
nella figura di Kley, che oppone la sicurezza immorale del suo Io alla destabilizzante forza dell'immaginazione. Egotica rappresentazione del bisogno umano di controllo sulle cose e della tragica incapacità di vincolarle ad un linguaggio che non conosca la falsità. Non c'è ricerca di Verità nel film, piuttosto l'impossibilità di verificarne il nesso con la realtà. Indecidibilità di una storia che proprio nel suo diventare immortale perde e rifiuta i labili legami con tutti gli eventi che hanno la presunzione di averla generata.

La Ricotta è una storia sacra che nel suo essere accaduta e non necessariamente creduta rivela dirompente la propria immortalità. Welles, regista vero-finto, gioca la parte del piccolo dio, poeta e pittore, (de)costruttore di una realtà fittizia, fatta di immagini e di uomini che hanno perso la loro consistenza nella consustanzialità con l'ostia-pellicola loro offerta dal potere. Uomini "medi" che non credono a ciò che sta accadendo, al rinnovarsi della storia, alla rivoluzione messa in atto da un mortale che della sua mortalità fa rivelazione inascoltata. Il sotto-proletariato si cristianizza, letteralmente, viene chiamato a fare la parte del Cristo, sacrificato consciamente dalla borghesia sull'altare-buffet della sua Storia immortale.
Alessandro Scibetta

Da: Recensione "Rapporto confidenziale"

Rapporto confidenziale

Titolo originale: Mr. Arkadin (Confidential report)

Produzione : Spagna-Francia
Anno: 1955
Regia: Orson Welles
Sceneggiatura: Orson Welles
Interpreti: Orson Welles (Gregory Arkadin);
Paola Mori (Raina Arkadin);
Robert Arden (Guy Van Stratten);
Akim Tamiroff (Jacob Zouk);
Michael Redgrave (Burgomil Trebitsch);
Mischa Auer (domatore di pulci).



Questo racconto irrealistico suona ancora più vero di numerose storie
delle quali si è voluto accuratamente garantire la verosimiglianza.
E. Rohmer

C'è tutto il genio creativo di Orson Welles in questo film-labirinto, nel quale siamo condotti in un viaggio a ritroso che scardina le coordinate spazio-temporali abituali, alla ricerca di un centro che non esiste, o che è molto diverso da quello che ci si aspettava.
Se l'universo aristotelico era basato sui principi di identità e non-contraddizione, fondamenti di un mondo rassicurante perchè conoscibile e controllabile, quello contemporaneo, preso atto delle aporie di quei principi, ha perso ogni certezza dimostrabile ed è sospeso alla ricerca di una verità che sempre sfugge; Welles è uno dei più grandi interpreti di questa condizione, che però non diventa mai in lui rinuncia, disperazione, inerzia: l'ottimismo della volontà di potenza caratterizza i suoi personaggi anche di fronte allo scacco e alla sconfitta. Sta qui il nucleo tragico della sua opera.
Consapevole che la "verità" non è data, Welles si imbarca in un percorso di costruzione/ricostruzione che non è mai (non può essere) lineare: svolte improvvise, soste controvoglia, passi indietro e ritirate segnano il cammino dei suoi personaggi che rischiano di perdersi ad ogni metro, spesso proprio quando credono di essere ad un passo dalla meta. In questo universo polverizzato, inoltre, le relazioni con gli altri sono fonte di equivoco e ambiguità: necessariamente diversi sono i punti di vista, i bisogni, le aspettative che muovono gli esseri umani e ne deformano lo sguardo (compreso quello dello spettatore, chiamato ad una partecipazione attiva), e così ogni volta bisogna strappare il pezzetto di informazione che ci interessa e cominciare da capo senza garanzie, in un corpo a corpo con la storia. Ma alla fine A non sarà mai uguale ad A.
A partire da questa visione, tragica e grandiosa, Welles utilizza in modo coerente e mirabile le tecniche cinematografiche: uso dell'obiettivo grandangolare che deforma gli oggetti più vicini (si vedano i primi piani che arrivano al grottesco), presenza di un trucco pesante e di travestimenti barocchi, centralità delle maschere (che nascondono l'identità), uso di flash-back ed ellissi, montaggio serrato, amplificano e sottolineano quello che la sceneggiatura suggerisce e costituiscono elementi essenziali alla costruzione del mondo wellesiano.
Ovviamente anche per Rapporto Confidenziale non sono mancate difficoltà di produzione (come per tutti gli altri film di Welles): strappatogli ormai in sala di montaggio, il film è stato ultimato da altri nel tentativo di attutire gli elementi troppo estremi, e ne sono state distribuite diverse versioni di durata diversa; una beffa del destino per il cineasta dell'ambiguità.
Nino Termotto
Da: zeta

Walter Santino

Orson Welles
L'infernale Quinlan (Touch of evil)


Cast:
Orson Welles
Charlton Heston
Zsa Zsa Gabor
Akim Tamiroff
Janet Leigh
Dennis Weaver
Ray Collins
Joseph Calleia
Marlene Dietrich


1958 USA 112' Universal

Luce e buio, verit e menzogna, Vargas e Quinlan.
Una serie di simmetrie ed opposizioni scandisce il ritmo sostenuto (piani-sequenza, tra cui quello lunghissimo di apertura, e montaggio vorticosi) di questo noir-capolavoro di Orson Welles, tratto dal romanzo Contro tutti di Whit Masterson.
L'intreccio si dipana lungo la frontiera tra Stati Uniti e Messico e vede protagonisti due poliziotti (Vargas-Heston e Quinlan-Welles) agli antipodi appunto per modalit investigative.
Frontiera tra i due paesi, frontiera tra i due personaggi; non esiste luogo dove questi possano incontrarsi perch procedono seguendo ognuno il proprio modo di essere al mondo, senza nulla cedere allaltro: il ragionamento logico, la razionalit da una parte, listinto, lintuito dallaltra.
Welles per sembra non sposare la filosofia di nessuno dei due: non
c' un buono o un cattivo, un modo giusto o uno sbagliato; la frontiera scompare, i due mondi convergono, si fondono, si confondono e tutto diventa ambiguo.

Walter Santino
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