Paìs en serio!
Continua la nostra indagine sulla trasformazione planetario dello spazio urbano.
Stefano ci scrive direttamente da Buenos Aires, niente di meglio per vedere come gli slum stanno ai piedi dei grattacieli
Le puntate precedenti:
Crescevamo assieme, io e i palazzi della metropoli
Il Pianeta degli Slum
Buenos Aires - República Argentina Gennaio 2007
Scrivo da Buenos Aires e di Buenos Aires, e devo ammettere che parlare di questa citta' dal di dentro e' una cosa che mai avrei immaginato di fare. Di fatto pero' ci vivo ormai da quattro mesi: l'occhio e la mente stanno imparando a leggere e interpretare. Ma nonostante questo cammino, in cui un po' presuntuosamente mi riconosco, mi accorgo che ogni mio discorso in cui entra questa citta' parte dalle immagini (mentali piu' che fotografiche) che ne avevo quando ancora non l'avevo mai vista.
Con ogni probabilita' sono state queste immagini a darmi la rincorsa per arrivare sino a qua; non ci ho ancora rinunciato del tutto e, seppure ormai ne conosca il rischio, ancora mi scomodo per verificarne la veridicita'. Sono per lo piu' fatte da suggestioni di tango e letteratura, enormi quantita' di acqua dolce che scorre, storie di migranti con valigie di cartone, percorsi di lotta e militanza... ma anche da numeri.
Per iniziare, proprio dai numeri voglio partire.
Noiosi, capaci di suggestionare, salienti.
Un dato su tutti: su 36 milioni di Argentini, 14 vivono nel Gran Buenos Aires! Sotto questa denominazione va la Ciudad Auto'noma de Buenos Aires e il suo esteso connurbio, fatto di una trentina di agglomerati satelliti. Grosso modo si puo' schematizzare dicendo che sono ricche zone residenziali al nord, quartieri industriali ad ovest e disagiate citta'/dormitorio a sud. Il tutto senza una reale discontinuita' se si pensa che e' solo un fiume, ridotto a melmoso rigagnolo, a segnare il confine meridionale con Avellaneda, Lanu's e Lomas de Zamora, sobborghi che sommano un milione e mezzo di abitanti! Sono numeri enormi, ma l'enormita' e' la regola se stai sulle rive del Ri'o de la Plata, il fiume piu' largo del mondo, e alle tue spalle hai una pianura sterminata come la Pampa. Nonostante non abbia confini naturali a costringerla, Buenos Aires ha sempre manifestato anche una marcata vocazione allo sviluppo verticale. Sin dagli inizi del secolo si e' fregiata dei grattacieli piu' alti del continente, e la tendenza continua nel cosidetto Microcentro (cuore economico e finanziario) e con l'ammodernamento della zona portuaria di Puerto Madero, il cui skyline va sempre piu' assomigliando a quello di Manhattan. (Pazienza se davanti c'e' una riserva ecologica, stazione di sosta di numerosi uccelli migratori.)
I porteños (gli abitanti di Buenos Aires) che la mattina raggiungono il loro posto di lavoro e nel tardo pomeriggio riguadagnano le loro case sono una marea capace di congestionare il traffico della citta'. Per agevolarne il flusso alcune strade ad una certa ora invertono il loro senso di marcia, ma ne' questo ne' le quattordici carreggiate dell'avenida 9 de Julio, la piu' larga del mondo, sono sufficienti. La rete della metropolitana, il subte, non raggiunge tutte le zone, per cui la maggioranza di coloro che non possiedono un auto si affida ai numerosissimi autobus, i caratteristici colectivos, e ai taxi (si calcola in 37.000 il numero dei tassisti!).
La resa e' l'immagine di un Buenos Aires che non si ferma mai, che funziona, lavora e fa rumore tanto di giorno come di notte. La capitale di uno stato (ed in un certo senso di tutto un continente) che riassume e sviluppa in se' una serie di possibilita' di abitare lo spazio, impiegare il tempo e (soprattutto) inventarsi uno stipendio, che se non infinite sono almeno sufficienti a colmare tutti gli interstizi che lascia il tessuto urbano della citta'.
Il Buenos Aires nel quale vivo porta i segni marcati della crisi del dicembre del 2001, quando le conseguenze di un modello economico scellerato e della corruzione dilagante hanno toccato le tasche di tutti i cittadini,spingendoli in strada a cacciare l'allora predidente De La Rua.
Per dare le propozioni di quanto accaduto, va ricordato che alla fine degli anni novanta la moneta argentina era in rapporto 1:1 con il dollaro statunitense. Le classi medio-alte giravano il continente senza problemi economici, o andavano negli states mantenendo inalterata la loro capacita' di acquisto. Il crollo verticale del potere acquisitivo del peso ha portato le banche a congelare i depositi dei loro clienti. La promessa che chi avesse depositato pesos avrebbe ritirato pesos, e chi invece avesse risparmiato in dollari avrebbe potuto riavere il proprio denaro in dollari, ha tamponato le rimostranze della gente, almeno fino a quando non ci si e' resi conto del fatto che era una bugia. Il dollaro ha quadruplicato il suo valore rispetto alla moneta nazionale (ora si e' assestato su di un rapporto 3 pesos = 1 dollaro), polverizzando i risparmi della quasi totalita' della popolazione. Tristezza e rabbia si mescolano nel racconto di chiunque abbia ricordato con me quei terribili giorni.
L'impatto sociale non e' stato meno devastante del crack economico. "Quello che e' stato fatto qua non ha nome" e' una frase che ho sentito piu' di una volta. Fernando E. Solanas (premiato con l'Orso d'Oro alla carriera nel 2004), regista e intellettuale argentino attento ai problemi del suo paese, ha provato a dargliene uno nel suo documentario "Diario del saccheggio". Ha chiamato "genocidio sociale" il sistematico smantellamento di infrastrutture, risorse e possibilta' del paese. Un processo che parte da lontano e che ha nella crisi del 2001 il suo momento culminante.
I molti che in quei mesi si sono ritrovati senza lavoro, si sono dovuti riciclare in ben piu' modeste attivita'. Per le fasce piu' povere della popolazione e' stata - come sempre - piu' dura. L'emigrazione dalle campagne (non risparmiate della crisi) alla citta' ha aumento il numero degli indigenti che affollavano Buenos Aires. Intere famiglie dormivano per le strade della capitale e, sul finire della giornata lavorativa, le percorrevano con dei carretti nei quali accatastavano ogni sorta di rifiuto salvabile. Erano, e sono ancora oggi, seppure in numero minore, i cartoneros, che sventrano i sacchi della spazzatura lasciati sui marciapiedi (a Buenos Aires non esistono contenitori per la nettezza urbana) per recuperare soprattutto carta e cartone, "differenziandone" cosi' lo smaltimento.
I poveri e i disagiati - vecchi e nuovi - che non dormono in strada (nei punti piu' vistosi, si direbbe ostentando il loro non avere piu' nulla da perdere, il loro non possedere piu' nulla), occupano precarie unita' abitative nelle villas, gli slums cosi' come li chiamano in Argentina. La definizione di "luogo caratterizzato da sovraffollamento, strutture abitative scadenti o informali" calza perfettamente per queste baraccopoli improvvisate, prive delle piu' elementari misure igieniche, nonche' di ogni servizio. Sono numerose nella zona sud del Gran Buenos Aires, ma una - la villa 31 - e' molto vicina alla zona piu' elegante della citta', pur rimanendo remota nel pensiero di chi non la abita.
Una cosa che mi ha molto colpito e' stata una pubblicita' di quelle che da noi chiameremmo "progresso" (virgolette d'obbligo) che ho visto un paio di mesi fa, quando veniva mandata nel circuito della televisione della metropolitana. Il suo obiettivo era sensibilizzare sul tema dei ragazzi di strada, los pibes de la calle, che sniffano la colla dei calzolai (per questo privata delle componenti cangerogene che ne facevano parte) e, assoldati da piccoli boss rionali, vivono di espedienti. Molti di loro sono concentrati nel quartiere di Costitucio'n, a sud ma ancora nel territorio della citta' autonoma. Mentre vedevo la pubblicita', mi rendevo conto quasi contemporanemente dei toni da campagna missionaria dello spot e del fatto che la fermata di Constitucio'n fosse a due di distanza da quella in cui mi trovavo! Si metteva a fuoco il problema e al tempo stesso lo si dislocava in uno spazio altro. Poco importava se erano a distanza di centinaia di metri o migliaia di km, potevi fare un versamento per aiutare los pibes de la calle! Ricordo di aver pensato che secondo la percezione di molti, quella pubblicita' avrebbe pouto tracciare un ulteriore confine, non amministrativo, ma che avrebbe ristretto lo spazio urbano tranquillamente fruibile, escludendone il quartiere in questione, col suo carico di problemi.
La sicurezza sociale e' di fatto oggi una delle grandi questioni da risolvere, ed e' considerata dalla popolazione come un problema cruciale. Devo dire che, per lo meno nel centro citta' che abito e frequento, Buenos Aires sembra una citta' piu' tranquilla di quella che emerge da certi racconti, e comunque non piu' pericolosa di altre delle stesse dimensioni. Il monitoraggio attento da parte delle polizie (pubblica e privata) consente di viverla senza troppi patemi d'animo a qualunque ora del giorno e della notte. Chiaro che l'immensa periferia e' territorio off limits per lo straniero, e che una certa microcriminalita' e' "quasi fisiologica" nelle grandi metropoli... ma lo scippo della borsa della figlia di Bush (!) il mese scorso in un quartiere turistico di Buenos Aires ha piu' i connotati di un aneddoto colorato che quelli di spia di pericolosita'.
Certo la minaccia esiste ed e' avvertita dai ceti piu' alti della societa', gli stessi che, avendone le possibilita', preferiscono risiedere nei quartieri privati. Quello dei barrios privados o countries e' un fenomeno di notevoli dimensioni sia nell'intorno di Buenos Aires, che nel resto dell'Argentina. Ed e' in crescita. Sono dei complessi residenziali il cui ingresso e' vietato ai non residenti o autorizzati dagli stessi, che a poco a poco si sono ingranditi e dotati di una propria polizia, di scuole, supermercati, ospedali, etc... il tutto ovviamente privato! Si sono sviluppati nell'elegante periferia nord della citta' (diametralmente opposti agli slums del sud), con la quale sono collegati, in alcuni casi, da servizi navetta. Uno di questi quartieri, Nordelta, vicino alla foce del fiume Parana', si e' anche guadagnato la segnalazione nello svincolo autostradale che gli corrisponde. E su sfondo verde, come qualsiasi altra citta' o paese!
Nella cornice che ho cercato di disegnare s'inseriscono forme di resistenza - sia recenti che di vecchia data - che sono espressione di realta' socialmente e numericamente rilevanti e che svolgono un ruolo fondamentale nel panorama socio-politico nazionale. Le Madres de Plaza de Mayo - e le Abuelas de Plaza de Mayo - nel corso dell'ultimo quarto di secolo hanno acquistato un peso e una credibilita' che il loro lavoro rinnova e potenzia continualmente. Tanto le adunate in piazza dei giovedi', come la piu' recente Universidad Popular che e' anche libreria, caffetteria e spazio per spettacoli, hanno un seguito popolare notevole. Il loro impegno non ha trascurato un problema basilare come quello della casa, su cui verteva un'iniziativa degli ultimi mesi del 2006. Hanno provveduto a tutto il necessario (dai materiali alle autorizzazioni) affinche' alcune famiglie di senza casa, potessero costruire esse stesse la loro abitazione! Cosi' facendo oltre a soddisfare le necesita' di allogio hanno responsabilizzato e dato coscienza di agentivita' a una parte della popolazione.
Nella zona industriale de La Matanza (un altro milione e mezzo di abitanti ad ovest della citta' autonoma) si sono sviluppati alcuni dei tentativi di autogestione delle fabbriche.
Le manifestazioni dei piqueteros - rumorose, colorate ed in grado di paralizzare il centro della citta' - non permettono al governo di distogliere l'attenzione dai problemi sociali di maggior rilievo, quali il lavoro, la casa o la previdenza sociale.
Purtroppo mi sembra scarso il dialogo che questi movimenti di lotta riescono a intavolare con le istituzioni. In realta' non so bene in quale misura lo cerchino, considerata la credibilita' - tutta da riguadagnare - di cui godono le stesse.
Si puo' ben dire che la storia delle istituzioni argentine e' frammentata, procede a strattoni, che si verificano ogni qual volta collassa il sistema mafioso di corruzione e violenza che gestisce il potere.
L'ultima volta, tra la fine del 2001 e l'inizio dell'anno successivo, sono stati i disastri economici a dare il la alla crisi terminale. A partire dallo slogan "¡que se vayan todos!" si e' cercato di avviare una ricomposizione istituzionale. Ma la presidenza di Ne'stor Kirchner non ha dimostrato l'intenzione di tagliare nettamente con i trucchi della politica di sempre e si e' caratterizzata per una ricerca di "trasversalita'".
Sembra riproporsi la storia del populismo latinoamericano e di certe sinistre che s'impongono nei momenti di crisi sconfiggendo i candidati dell'establishment col mandato popolare di portare a compimento il cambiamento. Tuttavia non abbandonano del tutto i metodi della vecchia politica, accettano compromessi che minano la credibilita' delle riforme e finiscono col perdere l'appoggio popolare e diventare l'establishment che hanno combattutto, riproponendone i tratti mafiosi che hanno cercato di smantellare.
Ciononostante il populismo, secondo molti, e', al momento, la forma politica predominante in America Latina, l'unica con la vitalita' sufficiente per produrre dei cambiamenti che siano reali e profondi. Coloro che credono questo vedono nel populismo piu' che un'ideologia una forma di costruire politica che cerca di incorporare alla societa' le masse popolari escluse.
Il proposito conserva una portata rivoluzionaria in uno stato come l'Argentina in cui economia e politica sono tradizionalmente in mano a ristrette minoranze. Reincorporare le masse sulla strada del consumo, dell'investimento, della reindustrializzazione, dell'impiego, dell'istruzione e della salute continua ad essere una sfida aperta, l'unica che assicurerebbe un taglio netto rispetto al passato ed una piu' rosea visione del futuro.
E' convinzione di molti che l'Argentina abbia i mezzi per vincere la sfida. Non soffre la carenza di quadri politici e tecnici, ne' la "solitudine mediatica" che complica il lavoro di altri governi, come quello di Hugo Cha'vez in Venezuela e, soprattutto, Evo Morales in Bolivia.
Ma per essere un "pai's en serio" - come recita lo slogan del suo presidente -, l'Argentina non puo' limitarsi a rattoppare la situazione, come e' successo altre volte. Adesso e' imprescindibile passare dalle misure di emergenza post-crisi alla definizione di una strategia di sviluppo a lungo termine.
Riequilibrare le asimmetrie sociali ereditate da decenni di polita neoliberista e' la parola d'ordine. Sono molti gli indicatori che evidenziano il ritardo dell'Argentina rispetto ad altri stati, come il Chile e l'Uruguay, con cui condivide la stessa storia. Un ritardo ingiustificato che affligge, se non il piu' ricco paese latinoamericano, probabilmente quello piu' provvisto di tutto cio' di cui ha bisogno per esserlo!
La distribuzione della ricchezza ha solo recentemente invertito una tendenza a dir poco allarmante. Nel '70 il 10% piu' ricco della popolazione era dieci volte piu' ricco del 10% piu' povero; negli anni '80 lo era quindici volte; diciannove nella decade del '90 e ben trenta volte nei mesi successivi alla crisi!!!
Le cifre delle statistiche continuano ad essere negative (rispetto al passato, ma anche se paragonate a quelle di altri stati del continente) anche per quel che riguarda il lavoro in nero (in cui trova impiego il 44% della forza lavoro), la disoccupazione (oggi al 10,4%, dimezzata rispetto al 20,8% del 2002, ma comunque ben lontana dal 3% del 1974), la poverta' e l'indigenza (in cui si trova rispettivamente il 31,4% e l'11,2% della popolazione). E va sottolineato che patire la fame, o peggio ancora morirne, in un paese con la vocazione e le possibilita' dell'Argentina nell'allevamento e nell'agricoltura (potrebbe sfamare 300 milioni di persone e aspira - a ragion veduta - ad un raccolto di 100 milioni di tonnellate) e' un enorme paradosso criminale.
Uno dei tanti, ancora da risolvere, che proietta ombre sul futuro di questo paese.
Stefano
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