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Read Da Zeta si può solo andare avanti  
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Sono passate più di 3 settimane dallo sgombero di Zetalab, più di 2 dalla rioccupazione.

E' arrivato forse il momento, se non di fare un primo bilancio, sicuramente di fermarci a guardare queste queste dense giornate appena trascorse per provare ad immaginare quelle future.Una cosa è certa, chi pensava di indebolirci e sfiancarci non poteva sbagliarsi di più. Un'altra cosa è certa, chi pensava che questa storia riguardasse poche decine di persone isolate e marginali, anche lì ha preso una cantonata incredibile.


Non stiamo qui a fare elenchi o a dare numeri.

Gli elenchi portano con sé il rischio inevitabile di peccare per difetto. I numeri quando danno la dimensione quantitativa, non riescono comunque a descrivere la molteplicità delle energie che si sono create.

Comunque lo sappiamo, sappiamo quante persone hanno abbandonato la propria quotidianità per tuffarsi giorno e notte nella lotta per lo zeta.

Sappiamo quanti hanno trovato il modo, piccolo o grande, per dire che "Zeta non si tocca e resta qua...".

Abbiamo impresso negli occhi le facce di tutti quelli che al Laboratorio, in questi giorni, in fretta e furia, nell'improvvisazione che l'accelerazione degli eventi impone, sono venuti a presentare i propri libri, suonare la propria musica, tenere i propri seminari, proiettare i propri video, cucinare per tutti e contribuito, ognuno con le proprie forme di "lotta", a volte anche le più diverse, ad una lotta comune, per ciò che è comune...

Come conosciamo tutta la fatica e la determinazione con cui la comunità sudanese si è ostinata a non separare le strade: "Perché noi senza di voi siamo spacciati, perché voi senza di noi avete già perso"...
E così ci siamo ostinati insieme a pensare che c'era un "noi" in cui stare tutti.

Abbiamo parlato di Palermo Anno Zeta.
Con un riferimento obbligato ad un "antico ricordo" di Palermo Anno Zero (a proposito di "nostalgia del contemporaneo).
Facendo riferimento cioè alla capacità di questa città di reagire, alla capacità di sottrarsi ad un destino che vorrebbe essere segnato.
Altro che Palermo irredimibile, in questa settimane è riemersa una Palermo dinamica, capace di intrecciare trame inedite, vogliosa di mettersi in gioco e determinata a mettere in discussione i rapporti di potere che governano questa città.

Appunto. Perché Palermo è fatta anche dei suoi assetti di potere e i suoi giochi di clientela.

E mai come in questo periodo ne abbiamo avuto coscienza.
Che risposte sono arrivate dagli altri attori coinvolti nella vicenda?
Apprendiamo da Repubblica di venerdì 5, che l'ormai famosa Associazione Aspasia ha rifiutato l'ennesima proposta alternativa pronunciata dal Comune. Abbiamo già espresso dubbi sui trascorsi, l'operato e la limpidezza di codesta associazione, ma al netto di tutte le beghe che sono oggetto di indagini di altro tipo, che associazione di volontariato è quella che è determinata a svolgere le proprie attività a condizione che un centro culturale sociale e politico venga chiuso, che dei rifugiati politici vadano a dormire per strada, che una biblioteca con 2000 volumi venga chiusa?
Ecc., ecc.
Dovremmo prima o poi aprire una discussione pubblica sulla deriva del privato sociale (a Palermo in particolare), sempre più spostato su interessi privati, e sempre meno su questioni sociali...
La storia di Aspasia è in questo senso emblematica.
Dietro parola come Volontariato o associazionismo, non c'è nessuna interesse di carattere pubblico.

E le altre istituzioni come si muovono in questa contesa tra interessi privati e agire pubblico?
Lo Iacp rimanda al Comune.
Il Comune fa dei piccoli tentativi, ma ammette di non avere né soluzioni, né fondi, nè competenze. Ammettendo di fatto la propria inutilità.
La Regione fa delle dichiarazioni in grande stile e poi scompare.
La Prefettura, non ne parliamo neppure. Prima non fa niente affinchè tutta la questione non esploda. Poi insieme alla Questura gestisce lo sgombero nel modo peggiore immaginabile (pestaggi di leader nonviolenti e arresto di professori di religione inclusi...). E poi si rifuta di incontrarci.

C'é da parte di tutte queste istituzioni, come minimo una incapacità di ascoltare una città, di comprenderne le istanze e di mediarne i conflitti.
Ma se si trattasse semplicemente di questo, sarebbe paradossalmente già un bel risultato. Evidentemente è tutto molto peggiore, meno limpido e più inquietante...

Allora quale città prevarrà in questa vicenda?
Non lo sappiamo, ma siamo intenzionati a giocare la nostra parte fino in fondo.
Perché di una città si tratta, e non solo di un centro sociale...

La risposta che c'è stata all'indomani dello sgombero, infatti, parte sì dalla difesa di una spazio sociale, ma le ragioni sono evidentemente più ampie e sono legate alla diffusa ricerca di forme nuove dell'agire. Il Laboratorio Zeta, in queste settimane più che mai, è stato un laboratorio di partecipazione politica che rappresenta un modello estendibile ben oltre la singola vertenza.

La difesa e la costruzione di ciò che è comune, di tutti e di tutte, è partita dal riconoscimento delle differenze singolari che hanno costruito questo aggregato molteplice.
Alla base di questa lotta ci sono state condivisione e contaminazione, altro che le logiche di "appartenenza" a cui siamo stati abituati.
Il Laboratorio Zeta - ancora una volta, oggi più che mai - rappresenta non un luogo di chiusura identitaria in cui barricarsi dentro, ma uno "spazio soglia" da attraversare e dal quale farsi attraversare.

Un luogo della narrazioni, in cui costruire storie fatte di carne ed odori. Un luogo dei paradossi, in cui gli assetti che sembrano immutabili possono rapidamente essere sovvertiti. Un luogo di trasformazione, dal quale nessuno ne esce identico a prima.
E sappiamo quanto Palermo abbia bisogno di uscire dalle strade segnate che la vogliono sempre uguale a sé stessa.

Le settimane che ci aspettano probabilmente saranno le più impegnative. Saranno il banco di prova per verificare quanto potenziale trasfromativo porta con sé questa orgogliosa, bellissima reazione d'istinto.

La difesa del Laboratorio Zeta è un'occasione. Ma quando si rompe un muro non si sa già quanto è lungo l'orizzonte..

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