Resoconto della Rete Antirazzista Siciliana sulle deportazioni da Lampedusa


questo è il resoconto della giornata dei rimpatri illegali da Lampedusa verso la Libia.
Alcuni di noi erano lì, hanno visto, hanno filmato, hanno fotografato, hanno parlato, hanno gridato, hanno sofferto, hanno subìto i carabinieri e i loro complici.
Le televisioni e la stampa di qualsiasi colore (tranne rare eccezioni su internet) hanno totalmente ignorato questi fatti gravissimi che si sono consumati nell'indifferenza totale.

La giornata delle deportazioni: mattina del 6 ottobre
2004-10-06

Siamo in cinque della rete antirazzista siciliana
insieme a Lillo Miccichè, deputato regionale dei
Verdi.
Arriviamo alle nove del mattino a Lampedusa. Il
panorama è surreale: l’isola è militarizzata. Ovunque
jeep militari, polizia, carabinieri. Andiamo
all’aeroporto che è adiacente al Centro di detenzione
per migranti, ma prima passiamo da un bar, dove la
gente parla ancora del concerto di Claudio Baglioni,
come se nulla fosse.
Dalle vetrate dell’aeroporto si vede un pezzo del
cortile del campo dove sono trattenuti i migranti. Il
sole è a picco, fa un caldo estivo. Li vediamo lì
fuori nel cortile (probabilmente perché i capannoni
del campo straripano), ammassati sotto l’unico filo
d’ombra disponibile, attaccati ai muri.
.Ci guardiamo intorno e non c’è nessuno, la RAI è
ripartita con la stessa nave con cui noi siamo
arrivati, e di parlamentari, ovviamente, neanche a
parlarne.
Alle 12 e 20 atterra un cargo militare, solo il primo
dei quattro arrivati nell’arco della giornata.
Alessandra e Ilaria, due di noi, riescono a
raggiungere una terrazza da cui si può vedere tutto il
cortile del campo. Ci sono tre gruppi di uomini, per
ognuno circa 50 persone. Quelli del gruppo più vicino
al cancello vengono fatti mettere in fila contro il
muro. Probabilmente stanno iniziando ad ammanettarli.
Lillo Miccichè aveva chiesto di entrare al campo già
ieri e questa mattina. Gli hanno accordato il permesso
solo per oggi pomeriggio alle 5. Facile capire perché.
Infatti iniziano ad arrivare anche gli altri aerei:
tutti C130 dell’aeronautica militare. Alle 12:45
iniziano gli imbarchi.
Dal centro si viene caricati direttamente sull’aereo,
c’è una distanza di soli 40 metri. Ma il trasporto
degli uomini dal cancello del campo all’aereo ha tutte
le modalità di una deportazione. In fila per due
scortati da uomini in borghese con guanti e
mascherine, da donne sorridenti vestite di azzuro
(operatrici della Misericordia?), carabinieri e
soldati in tuta mimetica,
In fila per due. I polsi legati da corde di plastica,
trascinati quasi di corsa a gruppi di venti. Noi siamo
cinque. Solo cinque. Dove sono i parlamentari? Dove
sono coloro i quali avrebbero il dovere di opporsi a
tutto questo?
Lillo Miccichè inizia a urlare. Grida che questo è un
crimine, che si stanno violando tutte le leggi
nazionali ed internazionali, cerca di forzare il
cordone dei carabinieri per arrivare sulla pista.
Ovviamente viene spintonato e buttato a terra. Urliamo
anche noi: vergogna! C’è il nostro striscione: NO AI
LAGER, NO ALLE DEPORTAZIONI. Ilaria parla arabo, e
scrive su un cartello Hurria, libertà in arabo. I
carabinieri le intimano di metterlo via. Non si può
comunicare con i deportati, e, addirittura, scomodano
l’interprete arabo della misericordia per accertarsi
che sul cartello non ci siano scritti messaggi
sovversivi o insulti. Le nostre voci sono coperte dal
rombo dei motori degli aerei, i deportati non possono
sentirci anche se ci vedono attraverso i vetri.
Niente. Non possiamo fare niente. Ne hanno portati via
circa 400, più o meno 100 per aereo. Nessuno dice per
dove. Alle 15 sono tutti partiti. Il centro ora è
quasi tornato alla normalità: “solo” 200 “ospiti”.
Andiamo via anche noi, cerchiamo di riprendere fiato,
di trovare un modo per sopportare ciò che abbiamo
visto. Dobbiamo attendere le 17, quando finalmente
Miccichè potrà accedere al centro.
A un bar incontriamo due poliziotti che si fermano a
parlare con noi. Ci dicono testualmente che ne hanno
“stivati” da 65 a 70 per cargo, ma soprattutto ci
dicono che sono stanchi. Sono stremati perché nel
pomeriggio di ieri uno degli “ospiti” del centro ha
tentato di impiccarsi e loro hanno persino dovuto
salvargli la vita. Non capiscono il perché di questo
gesto, loro li trattano così bene… gli danno persino
l’acqua e le sigarette.
Quando chiediamo loro perché li ammanettano per fare
40 metri, ci rispondono che basta guardarli in faccia
questi clandestini per capire che sono pericolosi e
non hanno rispetto di niente…
Quante cose le nostre forze dell’ordine capiscono dai
visi di questi migranti: da dove vengono, se sono o
meno dei rifugiati, se sono buoni o se sono
delinquenti, se sono palestinesi, iracheni o libici.
Caspita che bravi… tutto dai tratti somatici.
In base a questo, solo in base a questo sono avvenute
le deportazioni di questi giorni, nell’indifferenza di
un paese intero, nella contentezza degli abitanti di
quest’ isola in cui persino i bambini ci dicono che i
clandestini devono annegare nelle fogne.


L’ingresso al CPT di Lampedusa. Pomeriggio del 6
Ottobre 2004:


Entrano al Centro di Lampedusa, il Deputato Regionale
dei Verdi Lillo Miccichè, e Ilaria da Palermo
(Laboratorio Zeta) per la Rete Antirazzista Siciliana,
come interprete di lingua araba e inglese. Un doppio
cancello. Il primo li fa accedere, costeggiando la
postazione delle forze di sicurezza, carabinieri e
polizia, al secondo: l’ingresso alla zona del lager
vero e proprio.
Li investe un odore acre di immondizia, circa trenta
sacchi celesti accatastati tra il cancello e uno dei
container che fungono da dormitorio. Sono accompagnati
e accolti da un capitano dei carabinieri, da
carabinieri in tenuta antisommossa leggera, in tuta
anfibi e manganelli, da poliziotti, da qualcuno in
borghese, e dall’interprete di lingua araba del Campo.
Una “scorta” di dieci, a tratti quindici persone.
Vengono subito presentati a tale signor Scalia,
direttore del Campo per la Misericordia di Palermo,
che li colpisce per la situazione grottesca che
incarna: ha indosso una maglietta rosanero del Palermo
“Voliamo in serie A”. Si incamminano, fanno i primi
dieci passi tra due container dormitorio, e mentre il
signor Scalia parla loro, incontrano le facce degli
uomini che stanno trattenuti lì dentro, appoggiati
alle pareti gialle di alluminio. Li scrutano, e mentre
li guardano negli occhi, dopo quei primi dieci passi
si accorgono di quell’odore che li accompagnerà per
tutta la loro visita al campo: merda, piscio,
spazzatura. Non possono più guardare le facce e gli
occhi di quegli uomini: l’odore è nauseabondo, e si
concentrano per capire da dove provenga. Vedono rivoli
di liquami che scorrono tra gli spazi che circondano i
quattro container-dormitorio, la mensa e i servizi
igienici: è una fogna a cielo aperto. Il signor Scalia
dice all’onorevole e all’interprete che quei liquami
sono solo acqua, racconta che sei volte al giorno, in
questa situazione di emergenza, hanno fatto spurgare i
pozzi.
Ma quell’acqua puzza. Tutto puzza.
Scalia mostra i tubi per lo spurgo, e un piccolo
corridoio di asfalto pieno di immondizia sparsa per
terra. Inizia poi a parlare di numeri: 1200 “ospiti”
fino a lunedì, che dormivano ovunque: nei container,
nella mensa, nei cortili a cielo aperto. Parla poi
degli imbarchi: oltre quelli imbarcati il 4 ottobre
per la Libia e per Crotone, altri 99, stamattina
presto, per porto Empedocle, e 372 stivati in quattro
c130 dell’aeronautica militare. L’onorevole e
l’interprete svoltano di 180 gradi sull’altro
corridoio di asfalto. Incontrano i servizi igienici.
La porta deve restare aperta. Gente che piscia
all’interno, e loro la vedono. Cominciano a guardare
dentro i container dormitorio, lunghi circa 20 metri e
pieni di due file di letti a castello. Giacigli di
gomma piuma gialla, a volte senza niente sopra, a
volte con piccole coperte di lana. Basta, niente
altro. Il signor Scalia continua a parlare.
L’onorevole gli chiede quale sia la procedura adottata
con i migranti appena arrivati al campo. Scalia
risponde, con voce incerta, quasi a singhiozzi, che
vengono raccolti nome, cognome, nazionalità, data di
nascita e luogo di provenienza. Poi viene loro
chiesto, dopo avergli letto i diritti, se vogliono
fare richiesta di asilo in Italia. L’onorevole e
Ilaria smettono di ascoltare e chiedono di entrare
dentro i container e parlare con gli “ospiti”.
Incontrano per primi tre africani neri. L’onorevole si
presenta, comunica ai tre uomini perché si trova lì.
Loro si sciolgono in un sorriso nervoso e un po’
timido. Iniziano a rispondere alle domande. Si parla
in inglese. Al campo non esiste un interprete di
inglese e i carabinieri non comprendono questa lingua,
quindi la conversazione è tranquilla: solo
l’onorevole, Ilaria e i tre uomini. Sono nigeriani e
stanno male. Non si sono potuti lavare, sono arrivati
malati. Sono spaventati. Con loro, il 3 ottobre, erano
arrivati anche due bambini con loro padre, ma lunedì
li hanno portati via, non sanno dove. Ilaria gli
chiede se gli è stata comunicata la possibilità di
chiedere asilo politico. Rispondono di no, e che non
hanno neppure avuto l’opportunità di chiederlo loro
stessi. Dichiarano di volere fare la richiesta. Ilaria
la scrive in italiano, loro in inglese.
Queste tre richieste di asilo sono già state inviate
via fax agli uffici dell’ACNUR, a Roma.
Miccichè e Ilaria si rivolgono poi a un gruppo di 15
uomini che parlano in arabo. Vengono dalla Tunisia,
dal Marocco, c’è un uomo di 70 anni che viene dalla
Palestina. L’interprete di arabo della Misericordia
che gestisce il centro è lì con loro. I due delegati
si accorgono subito che la conversazione che stanno
per affrontare sarà diversa dalla precedente. Davanti
all’interprete i migranti dichiarano che nel campo va
tutto bene, che tutti sono gentili con loro e che non
hanno bisogno di niente. Chiedono solo di poter
lavorare. L’onorevole spiega anche a loro perché è li.
Poi si allontana, insieme alle forze di sicurezza, per
visitare il posto di polizia che dovrebbe raccogliere
le identificazioni e le richieste di asilo, ma scopre
che tale ufficio è completamente inutilizzato da mesi.

Nel container rimane Ilaria affiancata dall’interprete
del campo. Spiega ai migranti che quello che sta
accadendo in questi giorni al centro e il centro
stesso sono una palese violazione dei diritti umani,
che gli uomini che escono dal centro vengono spediti
non si sa dove, a volte a Crotone, o ad Agrigento, o
in Libia. Ilaria vede che l’interprete si allontana in
fretta e subito dopo torna con le forze dell’ordine e
l’Onorevole, a cui viene subito intimato dal capitano
dei carabinieri di non dichiarare che alcuni dei
migranti sono stati deportati in Libia. In assenza di
Ilaria l’interprete del centro riferisce al capitano
che l’attivista della rete ha detto cose che in realtà
non sono mai uscite dalla sua bocca, e infatti poi le
ritratta davanti a lei. Comincia l’operazione “psicosi
da rivolta”. Sembra una pratica standard: Il capitano
e il direttore del centro iniziano a gridare insieme
agli altri carabinieri e poliziotti invitando
l’onorevole e Ilaria a uscire. “ecco, avete visto cosa
avete fatto. Ora uscite…presto succederà qualcosa”. I
migranti in realtà sono tranquillissimi. Miccichè non
batte ciglio e chiede di continuare la visita nel
campo e invita 4 uomini trattenuti lì, provenienti da
paesi diversi, a parlare con lui fuori dal primo
cancello. Scortati dagli operatori della misericordia,
ancora dall’interprete del campo, e dai carabinieri,
l’onorevole riesce a bloccare l’operazione psicosi.
Parla coi 4 uomini e si fa raccontare le loro storie.
Dice loro ciò che farà quando sarà fuori di lì:
racconterà quanto siano difficili le condizioni dei
paesi di provenienza di chi è trattenuto al centro e
si batterà perché escano tutti da lì e possano
circolare liberamente in Italia.
Una conversazione bella, serena, conclusa in un
applauso. Gli altri migranti, ammassati contro la
recinzione applaudono i loro 4 rappresentanti,
salutano, rimangono lì.


Articolo tratto da: Laboratorio sociale occupato zeta - ZetaLab - Palermo - http://www.zetalab.org/
URL di riferimento: http://www.zetalab.org//index.php?mod=read&id=1097137570