LA CRISI DEI MUTUI SUBPRIME: UN DISASTRO ANNUNCIATO


Pubblichiamo un articolo del nostro amico Ninetto De Biovedagne sulla crisi dei mutui subpirme che ha portato nell’agosto scorso al crollo delle borse mondiali.
L’articolo ci sembra quanto mai attuale, anche dalle nostre parti, in quanto descrive il modo in cui il capitalismo finanziario esprime tutta la sua spietatezza (e fragilità), soprattutto quando si trova a fare i conti con l’esigenze abitative dei ceti più bassi.


Sul Manifesto del 17 ottobre 2007 Francesco Piccioni ci annuncia che per l’economia americana si profila all’orizzonte l’ennesima batosta: quella dell’inaspettata fuga di capitali stranieri dagli Stati Uniti. Non succedeva da venti anni. Dopo la crisi dei mutui subprime, un’altra tegola si abbatte sull’economia americana che ad agosto ha visto ben 163 miliardi di dollari abbandonare il paese. Si tratta di quei flussi di capitale finanziario con cui la più grande superpotenza del pianeta ha finanziato il proprio deficit stratosferico e l’immenso spreco delle spese militari. Se fino a pochi mesi fa la Cina e i più importanti paesi produttori di petrolio hanno investito, in particolare, in buoni del tesoro americani, finanziando così il disavanzo dei conti con l’estero, adesso l’aria che tira sembra essere proprio cambiata. Si annunciano venti di crisi per l’impero americano e chissà che gli annunci di terza guerra mondiale, fatti da Bush in questi giorni, non siano l’ennesima risposta sciagurata di una nazione che è precipitata sempre di più nel vortice di una crisi che sembra oramai senza vie di fuga.
Non c'è dubbio, dunque, che la crisi dei mutui subprime ha concorso al peggioramento di una situazione già di per sè delicata e fortemente squilibrata. Si calcola che, nel giro di un anno, almeno un milione di statunitensi avranno perso la casa, mentre trecentocinquantamila l'hanno già perduta, nei mesi di luglio ed agosto, al momento dello scoppio della bolla immobiliare. Eppure, che il mercato immobiliare, ancor prima che esplodesse la crisi, non godesse di ottima salute era sotto gli occhi di tutti. La tecnica della concessione dei mutui assomiglia ad una vera e propria catena di Sant’Antonio, un espediente finanziario che rimanda al trucco delle scatole cinesi: i mutui subprime sono prestiti particolarmente rischiosi, prodotti finanziari che banche e istituti finanziari concedono a cittadini senza un reddito sicuro e garantito che, al fine di acquistare una casa, sono disposti a pagare tassi di interesse elevatissimi e, naturalmente, a vedersi ipotecata la casa nel caso di un mancato pagamento. Le banche che erogano questi mutui, per garantirsi a loro volta da eventuali perdite, trasformano i subprime in obbligazioni, ossia cartolarizzazioni che sono garantite dagli stessi mutui degli acquirenti delle case e che, a seguito di giri tortuosissimi e complicatissimi, finiscono in fondi d’investimento, in fondi pensione, assicurazioni e così via. Le obbligazioni, infine, con il colpevole concorso della positiva valutazione di affidabilità delle agenzie di Rating come Standard & Poors, Moodys e Fitch, vengono piazzate ad un prezzo ancora più alto e moltiplicano il proprio valore in un misterioso quanto infido gioco di prestigio.
D’altra parte, la riduzione decretata negli ultimi anni dalla FED dei tassi di interesse all’1%, addirittura sotto al tasso di inflazione, rendeva particolarmente allettante e conveniente il ricorso ai mutui subprime. A garantire dal rischio ci pensava l’incremento dei prezzi immobiliari, sostenuto dalla politica del denaro facile grazie al basso tasso di sconto delle banche centrali. Non solo, oltre a rendere particolarmente conveniente l’accensione di un mutuo, i bassi tassi di interesse hanno incoraggiato gli statunitensi ad indebitarsi sempre di più, alimentando una corsa ai consumi che negli ultimi anni è stata il vero motore dell’economia a stelle e strisce. Un motore costruito su una politica monetaria che ha incoraggiato proprio gli investimenti nel settore immobiliare, sostenendo le imprese di costruzioni e gli stratosferici affari dei fondi immobiliari, e facendo così lievitare i prezzi delle case.
Ma i tassi di interesse non potevano restare bassi a lungo e, quando hanno cominciato a subire una veloce impennata, hanno determinato un aumento delle rate dei mutui ed un generale rallentamento degli acquisti e delle vendite delle case, facendo inoltre diminuire il loro valore. Si è così determinata una spaventosa crisi di liquidità innescata dal mancato pagamento di rate divenute oramai troppo esose, dalla diminuzione di valore della casa ipotecata e dal fatto che gli stessi titoli di credito emessi sui mutui non disponevano di denaro per ripagare chi li aveva comprati. Come era prevedibile, si è arrestato, bruscamente, quel circolo vizioso in base al quale la crescita dei prezzi del mercato immobiliare determinava nuovi investimenti i quali, a loro volta, alimentando la richiesta di nuovi mutui, retroagivano sulla promozione di nuove politiche edilizie e su un ulteriore aumento dei prezzi delle case.
Ed è proprio il mancato flusso di capitali provenienti dall’estero, che hanno preferito i buoni del tesoro e le obbligazioni in euro a quelli espressi in dollari, ad avere costretto la Fed ad un rialzo dei tassi. Se così non fosse stato non ci sarebbero più state risorse per finanziare i deficit della bilancia commerciale e del bilancio pubblico. La verità è che l’economia U.S.A. è schiacciata tra l’incudine di un’economia fortemente indebitata e il martello di un disavanzo estero finanziato fino ad adesso da flussi di capitali provenienti dall’estero e sempre più soffocante: a pagarne le spese saranno soprattutto i piccoli risparmiatori, i lavoratori a reddito fisso e i pensionati. Proprio come nel 1929.
Ciò che colpisce in questa roulette della finanza mondiale è il ruolo pernicioso e nefasto dei mercati, delle banche, delle finanziarie e delle agenzie di rating: gruppi di potere che fanno della speculazione finanziaria la propria ragion d’essere e che hanno innescato consapevolmente un circolo vizioso che si nutre dell’indebitamento dei cittadini attraverso ritardi di pagamento e sofferenze di vario tipo. Il problema è che la finanziarizzazione dell’economia si configura oggi come un’attività separata dall’economia reale. E' la finanza creativa, fondata sulla speculazione e molto spesso sull’inganno: a quali criteri risponde, per esempio, la produzione di quei particolari pacchetti nei quali si vengono a trovare titoli di credito di ogni tipo, dalle obbligazioni emesse a fronte dei subprime, ai finanziamenti per le carte di credito e al leasing per le auto?
Non è un caso, allora, se la bolla immobiliare dei mutui subprime presenti delle forti analogie con tutte le crisi finanziarie che si sono succedute negli ultimi venti anni. E' la produzione di capitale finanziario a mezzo di altro capitale finanziario che si è oramai autonomizzata dalla sfera della produzione. La liberalizzazione dei mercati finanziari ha determinato, a partire dagli anni '80, una crescita sovradimensionata della rendita finanziaria e riuscire a mettere a fuoco i rapporti che legano e che differenziano l’economia reale produttrice di merci dall’economia astratta dei circuiti finanziari è divenuto impossibile. Ecco la ragione dell’impressionante estensione della speculazione finanziaria su scala planetaria.
In un contesto del genere, in cui il livello delle attività finanziarie è più del triplo di quello relativo al Prodotto Interno Lordo di tutto il pianeta, occorre registrare il colpevole silenzio delle istituzioni statuali che hanno oramai abdicato alla loro funzione regolatrice e di controllo. Ma allora, a cosa servono i finanziamenti con i quali le banche centrali hanno rifornito di liquidità le banche per metterle in grado di fronteggiare l’insolvenza dei mutui e la conseguente mancanza di liquidità?
E' proprio vero che l’immissione di quantità straordinarie di liquidità serve a tutelare da possibili crolli del mercato borsistico milioni e milioni di piccoli risparmiatori o non è che, piuttosto, le grandi banche centrali, a partire dalla Banca Centrale Europea, procedono, attraverso il finanziamento pubblico, al salvataggio dei pescecani della speculazione finanziaria e dei grandi truffatori?
Il paradosso è, infatti, che i cantori del libero mercato svincolato dai lacci e dai lacciuoli dell’intervento pubblico sono adesso salvati proprio dalle immissioni di denaro pubblico che in tanti altri casi viene negato.
Quell’intervento pubblico tanto vituperato, per tutelare l’autonomia delle banche centrali, quando si tratta dei diritti alla salute, all’istruzione, a salari e pensioni dignitosi, viene invece impiegato per sostenere e finanziare il sistema creditizio privato. Il problema è che abbandonare l’economia alle forze spontanee di un mercato senza regole distrugge ricchezze e avvantaggia gli speculatori finanziari che si sentiranno autorizzati a continuare questo gioco perverso convinti che prima o poi un qualsivoglia potere pubblico interverrà a salvarli. Non sarebbe allora il caso di recuperare quel ruolo dell’intermediazione bancaria volto a sostenere, piuttosto che la speculazione, lo sviluppo produttivo?

Ninetto De Biovedagne


Articolo tratto da: Laboratorio sociale occupato zeta - ZetaLab - Palermo - http://www.zetalab.org/
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