Al Laboratorio Z.E.T.A. un MURO, costruito da un operaio assoldato per l'occasione, separava noi da quelle stanze ormai desolate. La violenza assurda dei poliziotti armati di casco, scudo e manganello ha svuotato il luogo in cui con cura, dedizione ed entusiasmo avevano appena cominciato a vivere attività diverse, che quel luogo morto lo avevano fatto respirare di nuovo.
Di ieri ho un ricordo confuso perchè un'isteria furiosa mi ha sconvolta quando ho visto alcuni di questi soldati colpire un ragazzo già a terra. Poi è tornata una tesa calma sulla strada e ce ne siamo andati coi passi più rapidi che avevamo. Ma non a casa. Siamo andati all'ex-carcere. E abbiamo riempito una piazza col nostro furore e stanco sdegno. Per non so quale gioco strategico di chi ha il potere di aprire e chiudere ogni porta di questa città, è stato lasciato che l'ex-carcere fosse rioccupato ieri sera stessa. Adesso vorrei solo riuscire a mettere a riposo su questo foglio dolore e rabbia che ho. E farli arrivare a tutti.
E poi ricominciare a fare parlare in molti modi le pareti abbandonate di spazi vuoti. Abbattere tutti i muri come il fragile muro sulla porta del nostro Laboratorio che qualcuno ha già fatto crollare ieri notte. Perchè così ciascuno possa avere un luogo che non sia la sua abitazione privata, da chiamare CASA. Che sia la casa di chiunque lo voglia. Un luogo dove non esiste la democrazia ottusa che boccia le minoranze; dove la mente che pensa sia immersa e attaccata ad un corpo che sente e ha il diritto di farlo.
A noi serve un luogo fisico per costruire con le nostre mani una vita che non sia PRIVATA, AUTOCENTRATA, che non sia stretta dai confini angusti che separano i popoli.
Perchè non lasciano tranquilli quelli che contrappongono colori al silenzio?
Perchè si sceglie l'oblio e non la vitalità?
Io rivoglio quelle stanze, rivoglio le pareti azzurre, la sala studio, la sala d'informatica, la palestra per il Laboratorio di danza, la ludoteca.
Emilia
Laboratorio Z.E.T.A.