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Il medioevo secondo Brancaleone.

Il cinema italiano è fatto di personaggi indelebili che solo in un secondo tempo diventano attori, ma che innanzitutto vivono per se stessi. Brancaleone da Norcia, cavaliere sfigato e donchisciottesco, è uno di essi, tanto per merito di un Gassman in stato di grazia quanto di una sceneggiatura assolutamente perfetta. E dire che, in fondo, c'è anche molto amaro in questo personaggio, va sa sé, infatti, che fa da specchio per la società italiana nel suo sbandare all'epoca del dopo boom. Eppure il popolo italiano ama ridere delle proprie disgrazie e non prendersi troppo sul serio, preferisce riconoscersi e amarsi in un perdente paperinesco che fare della seria autocritica e cercare di cambiare le cose. Tuttavia L'Armata Brancaleone è un film che non si può non amare. Lo si apprezza di più per la sceneggiatura o per le musiche, per i costumi, per la fotografia o per le prove attoriali? Davvero, nel rivedere un film come questo, si rimpiangono i tempi in cui il cinema italiano sapeva essere al contempo prodotto di consumo e opera d'arte, riuscendo nel difficile intento di unire la risata col profitto e la critica sociale.

A questo punto vorrei focalizzare su un aspetto, a mio avviso fondante, della comicità di questa pellicola, cioè il linguaggio. Se L'Armata Brancaleone è diventato quasi un cult movie, buona parte di questo successo lo si deve alla geniale intuizione linguistica che Age, Scarpelli e lo stesso Monicelli hanno escogitato per rendere cinematograficamente la parlata italica medioevale. E' risaputo che durante il medioevo si assiste alla caduta del latino come lingua d'uso quotidiano e all'affermarsi di tanti volgari infarciti di tecnicismi latini e greci, di influssi dialettali, di parole prese in prestito da parlate straniere eccetera. Sappiamo inoltre che non esistevano vere e proprie regole grammaticali codificate o normativizzate, ma che, per un lungo periodo almeno, anche a distanza di pochi chilometri si poteva assistere ad un cambiamento davvero notevole del parlato, tanto da fare pensare ad una ``parcellizzazione linguistica su larga scala che impediva le possibili unificazioni politiche tra gli stati''. Ecco il punto, a mio parere, non so quanto intenzionalmente, questo aspetto precipuo dell'universo medievale esce fuori con chiarezza e ironia. L'operazione davvero geniale sta nella scelta di rendere una lingua per certi aspetti misteriosa e composita come quella centritalica del XI secolo d.C. con un miscuglio esilarante di dialetto Viterbese, costrutti latineggianti (es. Imo et pugnamo), influssi pecorecci (Sanza la brocca... Saanza la gnocca...) e formule auliche; immaginarsi il nostro Branca affrontare la peste, i saraceni, i duelli, i pellegrinaggi e i solenni sposalizi attraverso l'uso di questo azzeccatissimo linguaggio maccheronico! Ed ecco la rappresentazione ``sub specie Brancalaeonis'' dello sfasciallittume italico ai tempi di Urbano II. Buon divertimento!

Massimo La Magna