[Zeta - Laboratorio Sociale Occupato - Via Arrigo Boito 7 Palermo]

All work and no play make Jack a dull boy[1].

Se 2001 ha rappresentato un punto di non ritorno per il genere (o sottogenere) della fantascienza, se Arancia Meccanica lo ha rappresentato per il dramma sociale, di certo Shining lo rappresenta e lo rappresenterà per il genere horror.

La straordinarietà Kubrickiana fa sì che in ogni inquadratura del film pare celarsi la chiave di comprensione di tutto il percorso del regista, come in una sciarada, eppure ciò potrebbe dirsi di ognuno dei film succitati (per non dire di ogni film di Kubrick in generale).

Ma c'è di più. C'è qualcosa di oscuro che fa di Shining un film "da vedere rivedere stravedere"[2], di oscuro malgrado la luccicanza del titolo, il suo splendore intrinseco. Lasciamo da parte lo sguardo allucinato di Jack Torrance, il triciclo di Danny e le lacrime di Wendy ("luce" della mia vita, come la chiama Nicholson nella bellissima scena della scala) e cerchiamo invece una visione razionalizzante che ci guidi ancora più a fondo (in effetti un "limite" del cinema di Kubrick può essere quello di costringere lo spettatore allo sbalordimento dell'istante facendogli perdere la sua coscienza critica di analisi).

Ecco che, come sempre, si aprono mille porte, tutte seducenti, o possibili interpretazioni ed ecco che le stesse si chiudono subito dopo come la frase che jack scrive ossessivamente nella solitudine del salone dell'Overlook Hotel.

Cosa o chi si nasconde alla fine dei corridoi o nella stanza 237? Chi è mr. Grady? Perchè le porte degli ascensori si spalancano rigurgitando un'enorme quantità di sangue?

Solitamente i film horror pongono una serie di interrogativi che vengono svelati più o meno alla fine del primo tempo, così da potere mostrare la parte avventurosa che porta alla risoluzione finale (Dracula, eccetera). Shining per certi aspetti non si discosta dalla regola codificata, pur non rinunciando a certo sperimentalismo, ma vela ogni possibile dis-velamento senza porsi questioni esplicative (limite #2: non è un vero e proprio horror), lascia un'ambiguità in certo senso compiaciuta, che non solo mantiene il mistero epperò si diverte a infittirlo e rimescolarlo più e più volte. E' chiaro che in questo senso ci piacerebbe potere parlare di cinema del soprannaturale, sforzandoci di trovare possibili tracce interpretative, ma così è solo fino ad un certo punto (ecco un altro possibile limite), perchè anche questo è un vicolo cieco. Il sur-reale di Shining viene già dato come "naturale", reale, senza discussioni possibili, è palese come il sole; se qualcosa di oltremondano deve esserci, e pare ci sia, esso è dato come fatto sussistente già nel pro-filmico, dunque la sua durata precede e segue l'inizio e la fine della pellicola. Kubrick non vuole darci una plausibilità interna alla fabula, semmai interna alla tecnica: è la pedanteria nevrotica di Wendy , la fotografia, i carrelli, la macchina da scrivere di Jack, il dito canterino di Danny, e ancora il modo in cui questi vengono cambinati tra loro e ancora la musica di Carlos, Ligeti e Bartok, le riprese aeree con cui si apre il film e l'istantanea retro-datata con cui si chiude (dando un'inquietante sensazione di tempo ciclico, manomesso). Pare prendersi gioco di noi Kubrick, pare perversamente sicuro di sè, vorrebbe nascondersi e ri-velarsi allo stesso tempo come occhi chiusi-aperti, come la banalità di un labirinto, la sua prevedibilità e il suo dedalico pericolo.

E' questo genere di snobismo che noi detestiamo (ma solo per invidia) in Shining, ma non abbiamo resistito alla tentazione di rivederlo, ancora una volta, maldestramente alla ricerca di qualcosa d'ulteriore, di definitivo. In effetti è giusto constatare che a tutt'oggi non sappiamo dire cosa sia, in realtà, questa maledetta "luccicanza", che vorremmo non essere costretti a chiedercelo ogni volta e che, in ultima analisi, consideriamo tutto questo come una maledizione a cui siamo condannati, proprio come Jack Torrance.

Massimo La Magna

1-Questa è la versione in inglese, dunque l'originale, della frase "il mattino ha l'oro in bocca" che si trova ripetuta infinitamente nel manoscritto di Jack. In italiano può essere tradotta "molto lavoro e nessun divertimento rendono Jack uno stupido". Sappiamo dell'abitudine del regista di girare differenti versioni delle scene in cui appaiono parole scritte, una per ogni paese in cui viene distribuito il film, in differenti lingue. Eppure troviamo una sostanziale differenza tra la traduzione italiana e l' originale. Per pura pedanteria esprimeremo la nostra personale opinione considerando "il mattino ha l'oro in bocca" più incisiva per due ragioni:

a)Nell'originale si fa un riferimento diretto al protagonista del film, mentre nella versione alternativa si lascia tutto più indistinto ed enigmatico.

b)La frase italiana consta delle parole "mattino" e "oro" che rimandano entrambe ad un campo semantico visivo\visionario prima che mentale e spostano sensibilemte il significato del sintagma verso la sfera precipua della "luccicanza", che è una forma di allucinazione.

2-E.Ghezzi, Stanley Kubrick, Castoro, Milano, pag.133